Profumo e gusto di primavera: minestra di erbe spontanee
Ecco tornata la primavera e con essa anche le erbe spontanee
che ravvivano, colorano e profumano i nostri meravigliosi prati valtruplini.
Ricordo questa stagione sempre con estremo piacere perché in questo periodo, la mia nonna Angela si recava sempre nei prati vicini a casa e raccoglieva con estrema attenzione e passione erbe che per me erano magiche e preparava una deliziosissima minestra di cui facevo grandi scorpacciate.
Purtroppo, a suo tempo, non avevo né passione né tantomeno voglia di seguirla in questa meravigliosa impresa e quindi ora, con grande rammarico, posso solo farmi raccontare da mia zia il segreto di tanta prelibatezza ed andare con lei tra prati vicini a casa.
Dato che oggi è libera, partiamo alla scoperta di questo nuovo mondo antico!
Ma tutto ciò non mi basta e camminando le chiedo di ripercorrere la storia di questa attività che per secoli ha dato cibo al nostro caro paesello e agli altri dell’alta Valtrompia, (e non solo…) così chiedo a mia zia di dirmi tutto quello che sa di questo tesoro.
Mentre la narrazione continua, uno degli elementi che più mi impressionano è apprendere (o forse solo ricordare quanto già sapevo) che la raccolta delle erbe per far la minestra e delle piante officinali era molto spesso un compito affidato ai ragazzini e che appariva del tutto normale, ai tempi, raccogliere l’erba per i conigli (quante volte l’ho fatto da piccola con il mio nonno Giuliano, ma avevo da tempo rimosso questi momenti felici in sua compagnia) e, contemporaneamente, raccogliere qualche erba che sarebbe finita dentro la grande pentola con cui la nonna preparava, ogni giorno, una succulenta minestra a base di prodotti a KM 0, direttamente dall’orto o dal prato sotto casa, come il dente di leone (tarassaco), la cicoria comune, il virzulì (silene), un mazzetto di loartis (luppolo selvatico) e di turioni di pungitopo. Il mio sguardo divertito segue la tecnica di raccolta delle cicorie fresche, sfruttando l’imbiancamento dei cespi cresciuti all’interno della terra di risulta delle tane delle talpe.
In questo sistema, o filiera alimentare delle erbe spontanee, scandito dalle stagioni, le figure del bambino e della donna erano un anello fondamentale e su di loro gravava il processo della raccolta e trasformazione che riguardava anche frutti spontanei come fragole, more, lamponi, ciliegie ed asparagi selvatici ma anche lumache, gamberi di fiume e rane.
Questo sistema, sebbene affidato ai pargoli, non era assolutamente improvvisato o estemporaneo, in realtà era un sistema ben collaudato sia nel tempo che nello spazio.
Così parlando, eccoci arrivati al prato dove da piccola seguivo nonna Angela, ma ahimè, qui troviamo pochissime erbe, un po’ per la siccità, un po’ perché i prati non sono più tenuti come si faceva una volta. Cambiamo posto, un posto che neppure sapevo esistesse (pur essendo cresciuta a Pezzaze…) dove mia zia si sbizzarrisce mostrandomi piante ed erbe molto curiose.
Chiedo così cosa mai ci metteva nonna Angela in quella fantastica minestra che non ho più mangiato da tanti anni, minestra che la nonna faceva con il riso e poi, solo per il nonno e me, sbatteva un uovo e aggiungendo il formaggio rendeva quel piatto paradisiaco.
Ma passiamo all’elisir di erbe presenti in quel piatto magico: foglie di primula, cicoria selvatica (tarassaco), punta di ortiche, ma solo delle ortiche che pungono, verzulì riconoscibile anche dalla foglia liscia e lucida (silene), foglie di margheritine di prato prima che nasca la margherita (pratoline), farinel (spinacio di monte), acetelli o Galel (acetosa), violette, pedenebol (di cui però non se ne deve mettere troppo e bisogna fare attenzione in quanto si può raccogliere quello tossico se non lo si conosce bene), e papacicì, sglarie (salvia selvatica), bastoncini della Madonna (o di san Giuseppe o del Signore), ricine (con la sua foglia pelosa)
aggiungeva poi aglio, cipolla e prezzemolo.
La mia nonna non usava l’erba cipollina e l’alliaria perché preferiva utilizzare la cipolla e l’aglio comune, ma proposte in altri piatti anche queste sono deliziose.
Mi ha poi svelato anche varie curiosità, come ad esempio che se si decide di usare anche la foglia di fragola, l’uso deve essere limitato, e poi che anche le pervinche si mangiano, proprio come la primula e il papacicì di cui si mangia proprio tutto. Per quanto riguarda il pedenebol (della famiglia della celidonia) bisogna raccogliere quello peloso con la macchia nera perché sia quello commestibile.
Finita questa fantastica camminata, con il secchiello pieno di erbette, corro da mia mamma e le chiedo di prepararmi la famosa minestra. Il risultato forse non è stato sublime come le minestre di erbe di nonna Angela, ma sicuramente non sono mancati il gusto e la prelibatezza.