Innamorati del territorio

L’orto a chilometro zero

Oggigiorno si parla tanto di Prodotti a chilometro zero cioè di quei prodotti reperiti direttamente nella zona di produzione.

Origine del nome

Il modo di dire “chilometro zero” in ambito agroalimentare comincia ad essere usato negli anni tra il 2004 e il 2007, quando i media dedicano una certa attenzione al fenomeno sociale che cercava di liberarsi dalla catena della grande distribuzione alimentare per creare canali di acquisto sostenibili a livello ambientale, che tenessero conto della salute dei consumatori e che fossero economici per le loro tasche.

Il nome km 0 si riferisce al numero di chilometri che il prodotto dovrebbe fare per raggiungere il consumatore.

Tutto questo punta sul legame col territorio, sulla riscoperta e la salvaguardia dei prodotti locali e degli antichi sapori.

I prodotti a km 0 sono essenzialmente frutta, verdura, legumi, latte, uova, vino, carne, cereali ed altri prodotti agroalimentari.

Vantaggi dei prodotti a chilometro zero

A differenza dei mercati legati alla grande distribuzione (supermercati, ipermercati, …), spesso causa anche di grande spreco e grandi costi, il mercato a chilometro zero ha vari aspetti positivi:

  1. Abbattimento di inquinamento e spreco: l’uso dei carburanti e delle emissioni che ne derivano vengono limitati al minimo. Ciò comporta anche un minor ricorso ad imballaggi e a sistemi di conservazione e di confezionamento.
  2. Qualità: i prodotti sono sempre locali, sempre freschi e di qualità.
  3. Territorio e tradizione: vi è conoscenza diretta dei produttori e del luogo di produzione oltre al recupero di sapori tipici e di ricette tradizionali locali.
  4. Abbattimento dei costi: l’assenza di intermediari tra produttori e consumatori, l’abbattimento dei costi di spedizione e carburante, permette di spendere meno aumentando il risparmio di denaro.

La ricchezza del nostro ambiente

Fortunatamente noi viviamo in un ambiente montano dove è tradizione coltivare orti, allevare animali, raccogliere prodotti dei nostri boschi (mirtilli, fragole, noci, castagne, nocciole, asparagi, funghi, …) e dei nostri alberi (mele, pere, ciliegie, …), per cui la filosofia del chilometro zero viene pienamente realizzata.

C’è però una tradizione, assai salutare che avviene tra la fine del periodo invernale e l’inizio di quello primaverile: la raccolta delle cicorie e delle erbe di prato.

La raccolta delle erbe spontanee nei nostri prati

Fin dai tempi più remoti, le nostre donne si sono dedicata alla raccolta delle erbe che crescono spontanee nei nostri prati per preparare pietanze, decotti, tinture, impiastri da mettere sulla pelle (i cataplasmi) utili alla nostra salute.

In montagna questa tradizione è tramandata di generazione in generazione da migliaia d’anni. I raccoglitori più esperti erano, e sono tutt’oggi, le donne, pochi gli uomini, che a seconda del clima invernale iniziavano la raccolta dal disgelo di febbraio/marzo, anche se ogni pianta ha diversi tempi di maturazione col crescere dell’altitudine.

Un tempo le conoscenze sulle erbe erano trasmesse semplicemente con l’esempio e con la pratica. Tutti conoscevano ed accoglievano con gratitudine questo primo dono della primavera, dato che la quasi totalità delle erbette selvatiche risultano commestibili solo nella loro fase di germoglio primaverile. Molte di queste pianticelle vanno infatti raccolte prima della fioritura della pianta.

I bambini seguivano nonni e genitori nei prati e si divertivano a scoppiettare le silene

 

 

oppure suonavano come trombette i fiori delle primule (le cantaréle)

 

 

e poi li mangiavano perché erano dolci come il miele.

Mangiavano anche le foglie e i gambi aspri dell’acetosa (i galéi)

 

 

 

Altre volte si divertivano a far volar via con un soffio i semi del tarassaco:

 

 

 

 

vinceva chi ne aveva fatti volar via di più.

Erano soprattutto i nonni con un linguaggio dialettale a tramandare le conoscenze fondamentali.

Un tempo la raccolta delle erbette era una necessità alimentare; oggi è una tradizione che poche donne mantengono per gustare gli antichi sapori del passato generazionale. A sole due generazioni scarse di distanza, oggi è necessario indicare e documentare con fotografie l’aspetto di erbe e piante che erano base dell’alimentazione giornaliera dei nostri nonni per non perdere questo patrimonio vegetale. Ma chissà che l’uso di queste erbe non ritorni ad allietare le nostre tavole insieme a un tocco di genuinità e di sana alimentazione…

La raccolta

Equipaggiamento: un coltellino a punta

 

 

o delle forbici, dei guanti (per le ortiche) e un cestino.

Cosa raccogliere: se non si conoscono bene, è utile farsi accompagnare da una persona esperta perché esistono pianticelle tossiche.

Il tempo: è variabile. La raccolta delle erbe spontanee infatti prevede il rispetto della stagionalità: così come essa varia ogni anno, anche le piante spontanee risentono, molto più delle altre, dei fattori climatici. Raccogliamo perciò ogni anno in periodi diversi ciò che la natura ha scelto di metterci a disposizione.

Ed ora lasciamo spazio a voi per scoprire questo meraviglioso mondo!!!

Per informazioni sulle erbe si rimanda a “Erbe protagoniste e “Profumo e gusto di primavera”

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