Innamorati del territorio

Stravignino – Frazione di Pezzaze

 

Etimologia: secondo una curiosa ipotesi il nome Stravignino significherebbe fuori dalla vigna, ipotesi però ritenuta poco probabile data la mancanza della coltura della vite sul territorio di Pezzaze per via delle condizioni climatiche non ottimali.

Scotòm (parola dialettale che indica il soprannome): ce ne sono due: bihcutì, probabilmente legato al fatto che c’erano addirittura due fornerie una vicina all’altra e Magotu, con il significato di gente che sta sulle sue, poco aperta.

 

COSA VEDERE?

 

Oratorio

 

 

Oratorio e chiesa di S. Rocco: nel 1765 la frazione di Stravignino vide scomparire la vecchia chiesa di San Rocco per cedere il posto alla nuova casa canonica, necessaria dopo la costruzione della Chiesa Parrocchiale. La chiesa di San Rocco era stata eretta in onore del popolare santo pellegrino francese, invocato contro la peste, in una delle frequenti epidemie che colpirono il paese nei terribili anni dalla discesa dei francesi di Carlo VIII (1494) all’invasione dei Lanzichenecchi tedeschi del duca di Borbone (1527). E’ molto probabile che intorno a questa chiesa votiva, di diretto patronato comunale, esistesse anche un cimitero di appestati. Dell ‘antico Oratorio, adattato in casa canonica nel 1765 resta ben poco se non il campanile e vicino ad esso l’assido. L’edificio è stato restaurato su volere dell’Arciprete don Giancarlo Pasotti recuperando parte degli antichi affreschi tutt’ora visibili.

Degno di nota è sapere che contemporaneamente alla trasformazione della chiesa di San Rocco, gli abitanti di Prati Nuovi salutarono con gioia l’iniziativa di erigere accanto alle loro case lontane dai centri abitati un altare alla Madonna delle Vittorie così nella seconda metà dell’800 sorse la piccola chiesa dedicata alla Vergine e le campanine del piccolo e tozzo campanile hanno più volte suonato e salutato la Regina del Cielo.

 

Chiesa parrocchiale di S. Apollonio

 

 

Pezzaze storicamente è Terra di preti. A testimonianza della profonda fede e devozione, oltre ai numerosi sacerdoti e missionari nativi del paese vi sono le numerose chiese sussidiarie nelle frazioni, edificate come simbolo di devozione, ricordo e protezione del paese e delle sue anime.

La parrocchiale è dedicata a Sant’Apollonio, primo Vescovo e patrono di Brescia, ebbe grandissimo culto in epoca medievale. Non si conosce quasi nulla riguardo alla sua vita se non che, secondo la leggenda, Apollonio riuscì a convertire e battezzare i Santi Faustino e Giovita ed in seguito consacrandoli gestiti diacono e presbitero.

La prima idea di fabbricare una nuova chiesa parrocchiale, più vasta e più comoda alla popolazione delle tre frazioni maggiori (Mondaro, Stravignino e Pezzazole) fu all’inizio del ‘700 da parte di Don Bartolomeo Facchini, originario di Pezzaze, appartenente a una ricca famiglia di Savenone. Fu da lui scelto il posto presso l’oratorio votivo di San Rocco. Trovò una forte opposizione dai pochi abitanti di Avano. Questi vedevano allontanarsi dalla loro piccola frazione la chiesa parrocchiale e accrescersi quindi il disagio del cammino per frequentarla. Riconoscevano che questa chiesa era troppo angusta e indecorosa per il paese, ma avrebbero voluto che la nuova venisse eretta nello stesso luogo, ovvero che si ampliasse quella vecchia poiché l’area del sagrato lo permetteva. Per eliminare, o almeno per mitigare questa opposizione, il parroco Facchini fece erigere l’anno 1746 in Avano l’Oratorio pubblico di San Gaetano Thiene per offrire ai suoi parrocchiani una chiesa sufficiente per le ordinarie e quotidiane necessità religiose.

Per la realizzazione della nuova parrocchiale, Don Facchini aveva chiesto e ottenuto dal comune (delibera del 26 luglio 1745) il permesso di far demolire la Torre di Mondaro per utilizzarne le pietre. La demolizione non si effettuò per la forte opposizione da parte della popolazione.

Dopo la morte di Don Facchini, divenne parroco il nipote, figlio della sorella, Don Francesco Salvi di Monticelli Brusati che riprese l’idea dello zio e nel 1748 ci fu la posa e la benedizione della prima pietra della nuova chiesa. In quell’occasione fu composto un sonetto. La nuova chiesa fu compita dopo 15/16 anni. Don Salvi non fu il primo ad essere seppellito nella nuova parrocchiale (verrà sepolto il 22 novembre 1801 dinanzi all’altare della Santa Croce, ora del Sacro Cuore). Prima di lui furono seppelliti il sacerdote Giovanni Antonio Piardi, Don Giaco e Don Giovanni Viotti. Don Salvi fu però il primo fra i parroci di Pezzaze che ebbe il titolo di arciprete e vicario foraneo nel 1787.

La chiesa è stata consacrata nel 1780, come si legge nell’epigrafie della controfacciata (11 giugno 1780).

L’edificio si compone di una grande navata centrale rettangolare con 4 altari laterali, dedicati alla Madonna del Carmine, alla S. Croce (ora al sacro Cuore), al Rosario e a S. Rocco, e uno centrale. Gli altari sono realizzati in materiale marmoreo di diverse cromie che vanno dal rosso, passando per il violetto fino al bianco. Il primo altare a destra è dedicato a San Rocco e venne costruito in sostituzione della vicina chiesa votiva. Proprio dall’Oratorio di San Rocco viene la pala del 1630 di notevole interesse il cui sfondo del dipinto riproduce Pezzaze e le sue frazioni colpite dalla terribile pestilenza del 1629/30. Il secondo altare è dedicato alla Madonna del Carmine, devozione molto antica e molto diffusa a Pezzaze. La Regina del Monte Carmelo è la patrona dei carmelitani e di coloro che si impegnano a vivere la spiritualità del Carmelo; è la protettrice di coloro che ne indossano lo scapolare ed è lo speciale sostegno delle anime del Purgatorio. Numerosi sono gli appellativi a lei rivolti: Fiore del Carmelo, Vite fiorita, Stella del mare, Gloria del Libano, Madre illibata, Vanto e decoro del Carmelo, Signora del suffragio, Regina delle anime purganti, Pioggia ristoratrice dalla siccità, Splendore del cielo. Nell’iconografia la Vergine è rappresentata con il Bambino Gesù in braccio, spesso con abito e scapolare bruni e mantello bianco, nell’atto di mostrare lo scapolare carmelitano. All’immagine di Maria sono spesso associate quelle dei santi dell’ordine o di anime purganti tra le fiamme.

 

 

Il terzo è il maggiore, monumentale, con la pala di Pietro Scalvini che rappresenta l’Immacolata, San Giovanni Evangelista, Sant’Apollonio Vescovo e i santi Faustino e Giovita. Il quarto altare, ora dedicato al Sacro Cuore di Gesù era l’altare della Santa Croce, edificato nel 1771 a spese del signor Antonio Bontacchio detto Turinì. Prima della nicchia e della statua, fatte nel 1901, vi era una bella tela che rappresentava Sant’Elena che adora la santa Croce tolta, abbandonata e rovinata. Il quinto altare è dedicato alla Madonna del Santo Rosario coi 15 misteri, con pala del 1944 che ha sostituito un olio su tela dei primi anni del ‘600.

Tra le numerose opere artistiche troviamo affreschi, come quello raffigurante l’apparizione della Madonna della Misericordia alla Croce di Savenone (collocato sulla volta della navata centrale) e opere scultoree, tra le quali la cultura lignea di S. Barbara.

La pavimentazione oggi visibile risale agli anni ’40 del ‘900 che era stata tralasciata a causa delle ripercussioni economiche ai tempi napoleonici.

Ricordiamo l’oratorio a Gesù Crocifisso. Voluto da don Richetti Giabattista, posto nel cimitero parrocchiale ed ingrandito nel 1939, ospita oltre ad una campana di marmo le spoglie mortali dei sacerdoti della parrocchia che, dopo l’editto napoleonico non poterono più trovar sepoltura all’interno della Parrocchiale. Sulla pietra tombale è scritto semplicemente “Sepulcrum ecclesieasticorum”.

 

Cappella di Santa Barbara

 

 

A dominare il piazzale dalla miniera Marzoli, non a caso, si trova la cappella di S. Barbara protettrice non solo dei minatori ma di tutti coloro che lavorano a contatto con il fuoco. La cappella è segno della profonda devozione dei minatori e della popolazione locale verso la Santa alla quale ogni anno era dedicata un’intera giornata il 4 dicembre durante la quale i minatori non lavoravano e onoravano la Santa con balli e canti.

La leggenda narra che Barbara fosse un’adolescente molto bella, figlia di un ricco commerciante. Mentre il padre si allontana per un viaggio (al tempo i viaggi duravano molto visti i mezzi di trasporti a disposizione), Barbara si converte al Cristianesimo, non solo, vuole diventare suora. Il padre non può accettare una tale decisione dato che la famiglia era pagana. Inoltre Barbara figlia unica (situazione anomala al tempo quando le famiglie erano molto numerose), quindi, una sua conversione al Cristianesimo avrebbe significato il passaggio di tutte le proprietà e ricchezze alla chiesa cristiana una volta sopraggiunta la sua morte. Così il padre fece rinchiudere la figlia in una Torre per farle cambiare idea. La figlia non cambia idea, neppure quando il padre le propone di sposare un uomo molto ricco. Allora, su tutte le furie, il padre decide di uccidere la fanciulla sulla piazza pubblica, davanti a tutti. Barbara viene così decapitata. Immediatamente, dal cielo limpido, scende un fulmine che incenerisce il padre.

 

Municipio

 

 

L’attuale stemma del Comune di Pezzaze (approvato e concesso nel 2004 con Decreto del Presidente della Repubblica) è ornato dai consueti corona e rami intrecciati, semipartito e troncato. Il primo quadrante ha uno sfondo argento sul quale è stampato un giglio rosso e la parte finale di un rastrello a nove denti (simbolo della Communitas Vallis Trompiae); il secondo quadrante, col lo sfondo rosso, mostra un libro aperto di color argento con la scritta in nero su una pagina statuta su tre righe, e con la data MCCCXVIII su due righe sulla pagina a fianco. Il terzo quadrante ha uno sfondo azzurro con disegnata una stadera d’argento (arcaico simbolo del Comune). La stadera è l’antica bilancia che costituisce un oggetto in araldica definito parlante ovvero in grado di richiamare l’etimologia del nome del paese: Pesaciis, Pèsase o Pesaze richiamano infatti l’atto del pesare e perciò lo strumento utilizzato per tale operazione. La data riportata sul libro in numeri romani, ovvero il 1318, è quella degli Statuta del Comune. Il giglio simbolo della Communitas è stato inserito a voler rimarcare l’appartenenza del paese alla Valle del Mella.

 

 

La sede originaria del comunale è a Mondaro, che da una successiva pianta dell’ingegnere Matteo Gatta è indicata essere la terzultima casa prima della piazza centrale, venne restaurata nel 1709, mentre nel 1714 il Comune, in difficoltà economica crescente, si separò dal resto della valle per non pagare la decima sull’estrazione del ferro. Nel 1810 a Lavone era presente una sorta di distaccamento comunale e Pezzaze formava un unico territorio con Pezzoro e Irma. Nel catasto napoleonico del 1811 tuttavia, la casa comunale è senz’altro segnata a Mondaro. Nel 1826 la frazione di Savenone Superiore chiese di essere separata da Pezzaze per entrare a far parte di Bovegno. Dopo l’Unità Pezzaze fu inquadrato nel mandamento di Bovegno insieme ad altri otto Comuni, tra cui Irma e Pezzoro, tornati indipendenti. Il primo Sindaco nell’Italia unita fu Giacomo Sedaboni (1860-1875 e poi ancora 1879-1885), mentre il 17 giugno 1924 l’esecutivo si dimise e fu nominato commissario Giacomo Prunali (che in seguito sarà podestà a Sarezzo), poi nel maggio 1926 fu designato alla massima carica comunale il cavaliere Piero Milesi. Dopo il ventennio fascista verrà eletto sindaco per la D.C. l’ingegnere Mario Piotti (nato il 12 novembre 1892), in carica dal 6 luglio 1945 al 2 giugno 1951. Nel 1924 venne inaugurata la nuova scuola elementare in località Stravignino; al piano rialzato di tale stabile ebbero sede sino al 1993 gli uffici municipali. Il baricentro del Comune di Pezzaze si trasferì perciò dall’antica piazza di Mondaro alla frazione di Stravignino (qui hanno sede le scuole, l’ufficio postale, la casa di riposo “Istituto Bregoli” e il municipio). Nel 1993 dinanzi alla nuova casa comunale, progettata dall’architetto Pierfranco Rossetti, fu approntata una piazzetta pavimentata in porfido; accanto al comune furono realizzati spazi commerciali e residenziali. L’edificio ha pianta a “L” ed è dotato di un portico a cinque fornici a tutto sesto, affacciato verso nord, cui s’aggiunge un altro fornice oltre il pilastro a ovest; le colonne sono in pietra grigia, mentre la struttura muraria è in cemento e calcestruzzo intonacato. Sopra una sobria linea marcapiano sono infilate sette aperture rettangolari e all’altezza del sottotetto si susseguono tre sequenze di finestrelle abbinate, a rettangolo longitudinale. Nella parte “commerciale” affacciata a est si apre un altro portico stilisticamente uniforme rispetto al precedente, ma più ridotto in quanto a dimensioni. Il prospetto est, sviluppandosi lungo un terreno in dislivello, presenta in vista uno zoccolo di cemento a vista su cui s’aprono tre finestrelle in corrispondenza del seminterrato, mentre sopra sono, da nord a sud rispettivamente, un fornice all’angolo e tre porte finestre rettangolari; quindi, oltre la fascia marcapiano longitudinale si allineano, sempre da nord a sud, una decorazione con gli stemmi della Valtrompia, quello del Comune, con ai piedi la scritta “PEZZAZE” e tre finestre rettangolari; il solaio è contraddistinto all’esterno dalla medesima fascia su tutti i lati. Il fronte meridionale mostra i quattro livelli: il seminterrato con un’ampia porta che introduce nel salone civico e, a fianco, la bascula della rimessa-deposito; il piano primo (pianterreno per il fronte nord), è dotato di tre finestre rettangolari così come il piano secondo (primo per il prospetto principale), mentre le finestrelle ribassate del solaio sono binate come quelle sul fronte nord. I livelli sono dunque quattro in tutto, di cui uno interrato destinato a sala civica e del consiglio comunale, oltre a locali accessori, deposito e autorimessa; il pianterreno adibito all’albo pretorio (atrio d’ingresso), ai servizi demografici e sociali, commercio, ragioneria, protocollo, vigilanza urbana e messo con uno spazio d’attesa per l’utenza. Il piano primo ospita l’ufficio tecnico e gli altri uffici di segreteria, le stanze dell’esecutivo, Sindaco e Giunta e un salottino d’attesa centrale. Il quarto livello è costituito dal sottotetto, adibito ad archivio.

Tra le opere presenti all’interno del municipio spicca l’encausto a freddo. L’encausto è una antica tecnica pittorica, fondata sull’uso di colori sciolti nella cera e riscaldati al momento di dipingere. Nel caso dell’encausto “a freddo” eseguito nel 1992 da Giovanni Repossi si tratta di un grande affresco che traccia, attraverso una narrazione iconografica richiamante certo realismo novecentesco, la storia e la cultura di Pezzaze rappresentata dalle componenti produttive, religiose e sociali di cui la vita di questo paese di montagna è da sempre costituita: vi sono rappresentati i “capifamiglia” della Vicinia discutere e decidere per il bene della comunità, i carbonai i quali fanno in modo che la trasformazione della materia avvenga tramite una combustione ottimale del poiàt; e, ancora, il dolore nella storia (le invasioni, la peste, la morte), ma anche la redenzione della forza della vita rintracciabili nella figura di una giovane madre con un neonato in grembo o nella luce albeggiante che avvolge il Santo Patrono; e poi i pastori, i contadini, le donne alla fontana, una filatrice, il cantastorie e al centro di tutto il monte, dalle cui viscere possono derivare progresso, ascesa sullo scosceso pendìo, ma anche desolazione e disgrazia.

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