Innamorati del territorio

Mondaro – Frazione di Pezzaze

 

E’ la frazione più popolosa del Comune di Pezzaze

Etimologia: secondo un’ipotesi il nome Mondaro deriverebbe da mons a die cioè “monte a mezzogiorno”, per via della sua collocazione geografica, mentre secondo altri da mondà, ovvero “ripulire”.
Scotòm (parola dialettale che indica il soprannome): lancia fiamme. Questo nomignolo viene ricordato da molti abitanti di Pezzaze ma dall’origine ignota, anche se sembra voler significare abitanti molto focosi, schietti, aperti, irruenti.

COSA VEDERE?

 

Torre

 

 

Una leggenda narra che al tempo della conquista romana della Valtrompia, alla quale i Trumpilini opposero una strenua resistenza, venne edificato un sistema di torri che permettesse alle guarnigioni romane di comunicare tra loro tramite segnali luminosi e di fumo. In realtà la torre che vediamo è stata edificata in piena età medievale (Basso Medioevo) anche se la sua funzione non è ben definita. Qualcuno ipotizza che la sua costruzione sia legata all’attività mineraria e al controllo del territorio vista la sua importanza per l’estrazione dei minerali, troviamo infatti un’altra torre in località Canelli, sempre nel Comune di Pezzaze ed altre sparse sul Comune di Bovegno.

L’edificio è costruito in blocchi di arenaria, Verrucano lombardo, una roccia sedimentaria dal colore rossastro ad eccezione della sommità costituita da una pietra sedimentaria locale giallognola, la Carniola di Bovegno, che ha sostituito l’arenaria a seguito dei molteplici crolli causati, nei secoli, dagli agenti atmosferici.

Con la delibera del 26 luglio 1745, il comune autorizzò la demolizione della torre per utilizzarne il materiale costruttivo nell’edificazione della nuova chiesa parrocchiale di S. Apollonio, alla quale però si opposero gli abitanti del luogo.

Oggi come in passato è di proprietà comunale, ad eccezione del periodo 1910-1994 quando fu di proprietà della famiglia Cavadini, e ospita la collezione etnografica di Costanzo Caim, composta da attrezzi utilizzati nella nostra Valle nei secoli scorsi per la cura dei prati, dei boschi e non solo. Una piccola curiosità che due oggetti conservati nella torre ci svelano: sapete la differenza tra LA GERLA e IL GERLO? La prima ha le maglie più larghe ed era utilizzata per il trasporto del fieno mentre il secondo dalle maglie più strette per il trasporto di materiali come fogliame e letame.

 

 

Broletto

Se con il termine “broletto” si è soliti indicare gli edifici sede delle magistrature comunali in epoca comunale (pieno Medioevo), l’edificio in questione ha questo nome per via delle affinità con la tipologia costruttiva dei broletti lombardi (il pian terreno cieco mentre quello sopraelevato segnato da finestre e “balconi”).

 

 

E’ un edificio quattrocentesco, utilizzato per secoli come abitazione, che oggi ospita il primo museo archeologico della Valtrompia, il Museo OrMA. Reperti archeologici come punte di freccia, gioielli e tessere di mosaico ritrovati in Valtrompia ci danno molte informazioni sulla storia della nostra valle: per esempio aiutano a rispondere alla domanda “Quando l’uomo comincia ad abitare la Valle Trompia?” oppure “Come era la casa di un ricco valtrumplino in epoca romana?”. Il broletto è diventato la “casa” anche di uno scheletro umano di 7000 anni, la nostra carissima Naé. E’ stata infatti riprodotta all’interno del museo una sepoltura ritrovata a Nave di fondamentale importanza per capire come erano fatti, quanto erano alti e cosa mangiavano i valtrumplini in età preistorica.

 

Chiesa di San Giovanni Battista

 

 

La chiesa è costruita verso la metà del ‘600, probabilmente sulle rovine di un oratorio o chiesa preesistente, per volere dei capifamiglia di Mondaro. Così, grazie ai numerosi lasciti, anche Mondaro ebbe un cappellano con l’obbligo di messa quotidiana. La chiesa apparteneva alla vicinia laica che la amministrava attraverso due reggenti fino almeno al ‘800. Le disposizioni dei Vescovi visitatori sono limitate, come l’imposizione nel 1657 che venisse fatto il pavimento, nel 1691 perché venissero restaurate le figure ed imbiancate le pareti della sagrestia entro un anno. I restanti interventi si limitarono all’indoratura di una patena o altro.

Nel 1853 si celebrava ancora la messa quotidiana e si impartiva la scuola elementare ai fanciulli poveri.

L’ingresso dell’edificio è segnato da un portale in pietra nera, forse proveniente dalla cava di Tavernole, che ci conduce in un ambiente composto da un’unica navata. Ha un altare in marmo e una bella soasa secentesca in legno, probabilmente opera pregevole di Giovanni fu Andrea Quacina di Bovegno, eseguita alla fine del 1652.

Nella cimasa domina l’espressiva figura del Padre Eterno, affiancato dai Santi Antonio da Padova e Andrea. La vecchia pala di scarso valore fu sostituita nel 1911 con una nuova dell’allora giovane pittore pezzazese Andrea Piardi per iniziativa di M.R. Don Faustino Negrini. Tra gli arredi si segnala una stupenda croce d’argento del 1685 dell’orefice Nicolò Francesco Bettoni di Brescia.

Tra le diverse pale e affreschi si trova un’opera realizzata da una pittrice locale, Beatrice Saleri, socia dell’Associazione ScopriValtrompia nel 2003 raffigurante il Cristo Risorto.

Ornano le pareti della navata e dell’altare 4 medaglioni nei quali sono raffigurati i quattro evangelisti tramite il tradizionale canone iconografico.

 

Antico Ospedale

 

 

Nel 1847 Angelo Bregoli dispose, per testamento, la creazione di una scuola e di un Ospedale nella frazione di Mondaro in un’epoca in cui l’analfabetismo era molto diffuso e le cure non alla portata di tutti. L’ospedale comincia a funzionare regolarmente nel 1886, i primi pazienti sono 2 contadini del paese, un ragazzo di Mondaro e una donna di Avano mentre il personale di servizio è composto da un medico e un’infermiera.

Nel 1908 l’ospedale conta circa 10 posti letto e la gestione passa alle Ancelle della Carità trasformandosi in una struttura ibrida, dove si curano gli ammalati e allo stesso tempo si accolgono i malati cornici o anziani bisognosi di assistenza ma privi di mezzi.

Negli anni Cinquanta avviene la trasformazione da ospedale a casa di riposo con il successivo trasferimento nella frazione di Stravignino che permette l’ampliamento della struttura e della sua ricettività.

Quando la mamma della cara Maestra Ivana (facente parte di una delle due storiche famiglie di fornai nella frazione di Stravignino) era ragazza andava dalle Ancelle della Carità all’Antico Ospedale con altre ragazze ad imparare a ricamare. Quest’ordine di suore gestiva anche la scuola materna, organizzava le feste di S. Agnese e S. Giovanni Bosco presso la scuola materna che al tempo era nello stesso stabile delle scuole elementari, a Stravignino.

 

Palazzo in Via Castello

 

 

 

 

A Mondaro esisteva un castello, del quale restano il nome e alcune vestigia; il torrione principale del sistema difensivo, di fronte a Stravignino, era la residenza della famiglia principale del luogo, gli Imeldi, o i Grilli, o i Pinzoni, che nelle carte del comune di Bovegno dei secoli XII e XII appaiono come principali possidenti del comune di Pezzaze, e sono forse ramificazioni della potente schiatta feudale dei Confalonieri vescovili dell’alta Valtrompia nei secoli IX e X.

 

Molino

 

 

 

 

Nel XIX secolo esistevano a Pezzaze tre mulini a due ruote, adagiati a diverse altezze sul corso del torrente Morina, affluente di destra del fiume Mella.

Il primo mulino si trovava nella frazione di Mondaro (notizie riguardo al mulino di Mondaro si trovano nell’archivio storico comunale a partire dal 1858), il secondo, detto mulino di mezzo, era situato un po’ più a valle, il terzo, infine, nella frazione di Lavone.

Tutti inizialmente di proprietà comunale, il mulino di mezzo e il mulino di Lavone vengono poi venduti a privati nella prima metà del XIX secolo, rimanendo in proprietà al comune il solo mulino di Mondaro. Il tecnico comunale Domenico Brentana ne fornisce un’accurata descrizione in una relazione tecnica dell’anno 1909. Si tratta di un mulino idraulico azionato dalle acque di una roggia derivata dal torrente Morina. L’edificio si compone di un ampio stanzone al piano terreno col pavimento di grosse pietre cui si accede mediante porta con stipiti ed arco a tutto sesto, con quattro finestrelle con inferriate rivolte verso i quattro punti cardinali; nel locale sono poste una pietra molare ed una piccola pila da orzo, mosse da una ruota idraulica esterna; sotto al locale, in un angolo si trova un piccolo porcile. Al piano superiore, al quale si accede con una scaletta di legno si trovano una piccola cucina, due camerette e un soppalco aperto sul locale terreno. Tanto il mulino quanto il canale che lo alimenta versano ormai in pessime condizioni, tanto che in un’intera giornata di lavoro non arriva a macinare due sacchi di grano. Da qui la decisione presa all’unanimità dal Consiglio comunale con deliberazione 18 novembre 1909 di vendere il mulino dietro corresponsione di un canone perpetuo e coll’obbligo che il mulino sia sempre adibito alla macinazione del granoturco per il pubblico.

La popolazione insorge in massa contro questa decisione costringendo il comune a tornare sui propri passi. Il mulino viene infine ceduto a privati nel 1926. Dell’edificio oggi non resta traccia se non una torretta, con attaccata un’elica che, ci racconta il proprietario, Vittorino Bregoli, serviva per frenare l’acqua. Infatti, quando l’acqua veniva chiusa, per la potenza che aveva, usciva dalla torretta che si vede e Vittorino si divertiva ad aspettare il momento per bagnarsi tutto.

Sulla facciata della casa, c’era poi un affresco della Madonna che è stato coperto risistemando l’abitazione. La nonna Ersilia raccontava che questo atto ha portato ben due disgrazie: due bambini sono morti.

La prima tragedia è avvenuta nel 1944. Un bambino di 18 mesi, Roberto Zagni, stava giocando nel cortile. La mamma stava lavando i panni alla fontana annessa e scherzava con il bambino. Ad un certo punto la mamma non ha più sentito Roberto. E’ andata a vedere vicino al pozzo dove al di sotto girava la ruota del mulino e ha visto il bambino girare sulla ruota. Subito è andata a spegnere il meccanismo e ha preso il bambino in braccio per portarlo in ospedale. Purtroppo non ci fu niente da fare. La famiglia si trasferì subito a Lavone dove il padre del bambino aveva un panificio e una bottega.

La seconda tragedia è successa nel 1986. Jonni, figlio di Vittorino, è morto annegato. Una settimana o poco più prima della celebrazione del Sacramento della Comunione era una giornata uggiosa, con una leggera pioggia. Jonni, come era solito, doveva fare il chierichetto per la celebrazione di un funerale, ma prima era andato al fiume sotto casa a pescare. La nonna, non vedendolo arrivare, si è affacciata alla finestra e ha visto il piccolo in acqua, con la testa nella rete e il corpo in acqua. Subito sono andati a soccorrerlo, probabilmente era scivolato e ha picchiato la testa su una pietra perdendo conoscenza e poi ha bevuto molta acqua. Portato in ospedale ancora vico ma in condizioni gravissime, fu detto ai genitori che se anche fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto menomato mentale. E’ morto qualche giorno dopo. Il papà lo descriveva come una peste, che combinava sempre guai e spesso le prendeva. Nel 1988 è nata una sorellina, Jenni a cui è stato dato questo nome in ricordo del fratellino.

Ti è piaciuto questo articolo?
Scopri altri articoli

Paesi e Località

Sconti e offerte per te

Per il nostro territorio tu sei speciale

Scopri le offerte
Questo sito prevede di utilizzare determinate categorie di cookie per diversi motivi. Per ottenere maggiori informazioni sulle categorie di cookie utilizzati e limitarne l’utilizzo, consulta la cookie policy.