Innamorati del territorio

Leggende e misteri irrisolti in Alta Valtrompia: “Castello della pena” e “Dosso dell’asino”

 

La Valle Trompia, oltre ad essere celebre per la straordinaria lavorazione del ferro, è ricca anche di luoghi stregati e suggestivi da visitare per gli amanti del mistero e del brivido.

Scopriamone insieme due, dove tramonta il sole ed iniziano le tenebre

 

 

Sul territorio di Marmentino, ma che sovrasta il Comune di Tavernole  e parte dei Comuni di Pezzaze e di Bovegno, un massiccio montuoso fa da spettacolare cornice al paesaggio apparendo come una fantastica fuga di guglie acuminate e cornicioni strapiombanti.

La prima stranezza è che questo monte non ha un nome, bensì le due cime che lo dominano: Castello dell’Asino, assai tondeggiante e Castello della Pena, più selvaggio e sinistro.

Non lasciamoci ingannare dal termine castello, che nel linguaggio locale significa semplicemente prominenza rocciosa, ma soffermiamoci sui nomi veri e propri…

 

 

Per quanto riguarda il Castello dell’Asino, o anche chiamato Dosso dell’Asino, la leggenda vuole faccia riferimento alle feste popolari che si celebravano a Natale, usando maschere d’asino per ricordare il paziente animale che riscaldò il Bambin Gesù.

Ma come è possibile che un tempo, quando ancora nevicava tanto, gli abitanti abbandonassero le proprie case, il proprio focolare domestico, per le feste natalizie e si recassero in questo luogo “sperduto” per mascherarsi? Alcuni abitanti del posto, i più maliziosi, dicono che qualcosa di esoterico e sinistro si nasconde dietro questo appellativo, ma non si lasciano scappare altro…

 

 

 

 

Ma passiamo ora alla seconda sommità, quella più attraente, misteriosa, il Castello della Pena! Storie affascinanti avvolgono questa cima, tutte misteriose ma estremamente suggestive e curiose…

La leggenda vuole che qui i Romani costruissero un carcere per i damnata ad metalla, cioè schiavi e prigionieri romani condannati a lavorare in modo inumano nelle miniere di ferro dell’Alta Valtrompia, tra Pezzaze, Bovegno e Collio. Sempre secondo la tradizione, se qualcuno si ribellava, veniva condannato a morte e l’esecuzione avveniva in modo esemplare per scoraggiare altri tentativi di ribellione o insubordinazione: il condannato veniva condotto in una grotta che esiste nella parte alta di questa montagna, legato con catene e dei grossi anelli precedentemente infissi, e qui lasciato a morire di fame.

 

 

 

 

 

 

Meno macabro e più bucolico è la leggenda che dice che nell’antichità, la zona tra Tavernole e Collio fosse sommersa da un lago ed esisterebbe, ai piedi di questo massiccio, tra Lavone e Tavernole, un grosso anello di ferro usato come fermo di qualche barca che trasportava legname, bestiame o altro materiale dalla Valle Camonica dove sembra esistesse una larga mulattiera che si congiungeva al paese di Marmentino, detta Strada del Carro.

 

 

Questo massiccio non poteva non essere di interesse anche del periodo Medievale, vista la conformazione e l’impossibilità di visitarne tutti gli anfratti… Un altro nome infatti del Castello della Pena tra gli abitanti di Marmentino è Corna de la Stréa. Qui infatti c’è una grotta nascosta e difficile da raggiungere a causa di rocce scoscese, decorata di stalattiti, nidi di ragni e di gufi,  diventata un covo di streghe che celebravano tregende notturne…

Alcuni temerari che hanno visitato questo luogo, ma misteriosamente tutte le fotografie scattate si sono bruciate in fase di sviluppo, dicono che hanno visto nella grotte le impronte dell’ultima strega, scacciata da una processione religiosa fatta da tutti gli abitanti di Marmentino. Al canto in lontananza delle litanie, essa avrebbe spiccato un salto e raggiunto il Monte Baldo.

 

 

 

Altre leggende di streghe, folletti, gnomi ed altri personaggi misteriosi arricchiscono le tradizioni della Valle Trompia, ma queste sono un altra storia, l’unica cosa che si può dire è che in una grotta di questo massiccio che sovrasta Lavone c’è un crocefisso, illuminata da una lampada votiva accesa nel 1975 da scouts milanesi.

Fonte: “Tavernole Ieri-Oggi”

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