Eto – Frazione di Pezzaze
Etimologia: Il nome viene fatto derivare da qualcuno da Et vet vento. Il Guerrini invece lo fa derivare da faggeto faèt, di cui sarebbe il diminutivo. Qualcuno fa derivare il nome dal greco cento, quasi a significare il numero dei suoi abitanti. Altri vuole che derivi da Euros, ventoso perché spesso per la sua ubicazione è in balia dei venti.
Scotòm (parola dialettale che indica il soprannome): gli studi attualmente non danno indicazioni sull’esistenza di un soprannome agli abitanti di questa frazione di Pezzaze
La frazione, o nucleo abitativo di Eto, si trova a 750 mt sul livello del mare.
Dal sagrato della chiesa di San Nicolò si osservano la maestosa piramide del Muffetto, l’aguzzo Corno di Prata, il solenne Crestoso, le aeree Colombine. In basso si allarga la conca di Bovegno. Ebbe un tempo importanza notevole e precedette lo stesso Lavone. Fu sede della primitiva parrocchia comprendente anche Lavone.
Secondo alcuni studi, da Eto dipesero gli operai delle officine del ferro attivate dalle acque del Molina e del Mella, là dove poi sorse Lavone. E’ opinione comune che i primi abitanti di Etto provenissero dal Colle di S. Zeno, dove si erano dedicati all’estrazione del ferro.
Civilmente Eto appartenne con Lavone al comune di Pezzaze ma con Lavone stesso ebbe una speciale assegnazione di boschi e pascoli che amministrava separatamente. In una nota trovata su una pagina di Messale stampato nel 1470 a Collio si legge che nel 1343 la terra di Lavo era senza gesia (cioè chiesa), e che la sua parrocchia era a S. Nicolò di Eto. Il 27 luglio 1343 i rappresentanti della Vicinia di Lavone, con l’appoggio di tutti i parroci delle parrocchie contermini (fatta eccezione di quella di S. Nicolò), chiesero e ottennero il 27 agosto, di poter costruire una propria chiesa che divenne poi parrocchiale verso la metà del sec. XV. La chiesetta deve aver avuto origine da una scuola e aveva una sua buona dote beneficiale, che ebbe molte e dolorose vicissitudini perché contesa fra Bovegno, Pezzaze e Lavone, e che fu lentamente dispersa e sparpagliata, così che nelle relazioni delle visite pastorali della fine del sec. XVI si afferma che la ecclesia S. Nicolai de Heto est sine dote.
L’antica parrocchiale di Lavone, e il parroco di questa parrocchia nella stessa epoca era obbligato per antica consuetudine a recarsi spesso a celebrare a Eto messe feriali e festive, a cantare offici funebri e ad assistere a matrimoni, cioè a compiervi per antica e costante tradizione quegli atti di culto che indicano e confermano la parrocchialità di questa chiesa figliale della pieve di Bovegno e antichissima residenza di un prete beneficiato che vi teneva una pubblica e gratuita scuola. La chiesa continuò ad avere una certa autonomia; ebbe le sue confraternite di S. Nicolò e del SS. Sacramento, aveva legati e capitali per mantenere un proprio cappellano che vi teneva anche la Dottrina cristiana e sebbene gli abitanti di Lavone si lamentassero dei disagi che dovevano affrontare per salire frequentemente a Eto per certe funzioni parrocchiali che vi si dovevano tenere, anche S. Carlo Borromeo sostenne e confermò queste antiche consuetudini, e tre anni dopo la sua canonizzazione i pochi fedeli di Eto vollero collocarne il ritratto nella loro chiesa in segno di gratitudine e di pietà verso il grande santo cardinale, che vi è effigiato in atto di preghiera dinanzi al Crocefisso.
COSA VEDERE
Chiesetta dedicata a S. Nicolò di Bari
Il 27 luglio 1343, la Vicinia di Lavone di Pezzaze chiede di poter erigere una propria chiesa dedicandola a Santa Maria Maddalena. I componenti la Vicinia di Lavone riuniti in Aiale di Magno (a valle sulla Valeriana, nei pressi di Lavone) chiedono e ottengono dalla Curia vescovile con decreto del 27 agosto 1343 di poter erigere – sul fondo Valle – una propria chiesa dedicandola a Santa Maria Maddalena, staccandosi, così, dalla chiesa di San Nicolò da Bari di Eto posta sui monti e lontana più di un miglio e mezzo.
Negli stessi anni (1510-1522) in cui si erigeva e si decorava la nuova chiesa di Lavone, dedicata a Santa Maria Maddalena, anche a Eto veniva riedificata la chiesa di S. Nicolò, con un impianto semplice, a piata rettangolare e con un’abside pentagonale, coperta da una volta ad ombrello.
La chiesa di San Nicolò, patrono della scuola, era un tempo tutta affrescata dentro e fuori ma poi coperta da uno scialbo colore giallognolo. L’unico altare era sormontato da un polittico quattrocentesco con la Madonna e il Bambino e Santi. Alla base, a decorazione della cornice, sono allineati gli Apostoli. Il polittico cinquecentesco di ignoto ma valente pittore vi era stato trasferito da Lavone ed era stato sovrapposto un grande affresco absidale col Crocefisso fiancheggiato da S. Apollonio e da S. Nicolò di Bari con quattro altri santi, probabilmente i quattro evangelisti. L’altare venne rifatto per ordine di S. Carlo Borromeo nel 1580 e chiuso da un cancello.
Il santello de’ Morti
Ad ovest del paese, a poche centinaia di metri sotto la chiesa di San Nicolò, sul sentiero che porta a Bovegno, sorge una santella, popolarmente detta dei “Morti della peste”. Semplice e popolaresca è la fattura di questi malridotti dipinti del ‘700, mentre al 1560-1570 è databile il Padre Eterno, in legno policromo. Ricorda i morti delle peste, in particolare quella del 1575-1577, detta di Peste San Carlo. Nella sola Brescia si contano 16.000 morti e 50.000 nel contado bresciano. Eto viene particolarmente colpita dal morbo a causa di frequenti passaggi di stranieri sulla strada valtrumplina diretti in Austria ed in Germania. E’ ricca di ex voto che risalgono addirittura il XVIII secolo.
Don Omobono Piotti
A Eto nacque il I maggio 1863 don Omobono Piotti che, come ricorda una lapide posta sulla casa natale nel 1946, fu studioso, raccoglitore delle memorie della sua Valtrompia nella sua opera Cronache Triumpline n.1. Fu parroco ed economo spirituale di Pezzaze nel 1901 e parroco della Chiesa di San Michele Arcangelo di Pezzoro dal 1890 al 1916. Morì il 6 aprile 1916.
I nani de Et
Ebbero un certo nome nelle vicinanze fra i pochi abitanti anche due nani, Angiolino e Domenica, due fratelli che vissero a cavallo tra gli ultimi venti anni del 1800 e la prima metà del 1900 nel piccolo paesello. Essi furono il risultato di un mondo di fatiche e stenti, legato alla dura vita di un tempo. Tra i ragazzini dell’alta Valle negli anni Trenta e Quaranta era proverbiale il detto sei brutto come un nano di Eto.
Li troviamo citati nell’opera di Luigi Vecchi sulla Valtrompia del 1930 intitolato Canti e pace nella Valle d’oro. Vecchi, elencando i paesaggi di una Valle meta ambita di tanti turisti, mentre descrive la salita al santuario di Bovegno erompe in un “Etto paese dalle anime morte!”. Racconta però come al suono della campana della chiesetta, tra le casupole già ai tempi spopolate, anche “i due nani Angiolino e Domenica mostrano allora gli occhi scintillanti di gioia. Ma se la campana non suona e giunge ai loro orecchi l’eco dei passi sprangano essi la porta della casa smozzicata e sgretolata e soltanto quando son ben sicuri di essere soli fan capolino. In questi mesi Angiolino e Domenica vivono di castagne che vanno raccogliendo sui sentieri degradanti. Chissà quanti anni abbiano questi due fratelli abbandonati dal mondo e dal tempo? Nemmeno essi lo sanno! Un giorno che la campana suonava e i loro cuori avevano ripreso coraggio, abbiamo ostentato la domanda. –Dieci – ci rispose la Domenica offrendoci la volubilità delle sue labbra molli e la grossa lingua mentre il fratello abbassava la testa come volesse far correre la mente attraverso il ricordo del tempo. Dieci? Oppure cento. Chi lo saprà mai quando son nati questi due rifiuti della vita e della morte”. Nonostante i toni non troppo simpatici dell’autore, ciò dimostra la popolarità di questi nani: avere una foto con loro era un souvenir ricercato dai turisti che venivano a trascorrere le ferie in Valle.
Angiolino sarebbe morto nel 1936 mentre Domenica avrebbe terminato i suoi giorni in un istituto a Pontevico.