Innamorati del territorio

L’Òm de la Löm

 

Avevo uno prozio che era di Bagolino ma da anni ha lavorato a Pezzaze presso la miniera Stese, di proprietà della società Marzoli, il quale spesso ci raccontava delle apparizioni nelle gallerie di quella miniera di un omino, òm in dialetto locale, dalla lunga barba nera, dal lungo tabarro e un larghissimo cappello nero ribassato, e tutto grondante d’acqua perché al tempo in miniera si poteva vedere solo oscurità e acqua. Non era possibile vederlo con chiarezza, ma se ne intuiva l’ombra fugace creata dalla fioca luce della lanterna che portava con sé, celandola sotto il mantello; pare che lo si potesse individuare con certezza solamente quando la lanterna (la löm) si spegneva per qualche ragione e l’omino era costretto a tirarla fuori da sotto il mantello per poterla riaccendere. I minatori vivevano nel timore che, restando soli, potessero imbattersi in lui, in quanto era considerato un cattivo presagio, ad esempio poteva attossicare i lavoratori, condurli in fallo nella ricerca dei filoni, far sparire il filone di ferro e, ancor peggio, far franare e causare un crollo seppellendo vivi i lavoranti.

Nessuno, neppure mio zio ha mai visto questo strano essere.

 

 

Solo qualche anno più tardi, visitando la miniera Marzoli nei primi anni di apertura, quando era gestita da Agenzia Parco Minerario e quando le guide erano quelle di ScopriValtrompia, mi fu raccontata questa storia con l’aggiunta della figura del Lömì, nipote del malefico Löm, uguale allo zio tranne che per la barba, che non aveva essendo piccolo, e per il fatto che non era cattivo, ma semplicemente discolo, come molti bambini della sua età. Egli si divertiva a fare i dispetti ai bambini, spingendoli, facendoli inciampare, o altri scherzi simili ma, anche in questo caso, si celava dietro l’oscurità del luogo.

La guida ci ha infine svelato il segreto, questa storia veniva raccontata ai lavoranti e minatori che entravano per le prime colte in miniera in modo che fossero celeri e non prendessero sotto gamba il lavoro.

A me piace comunque pensare che quella figura straordinaria esista davvero…

 (Tratto e liberamente rimaneggiato dal libro Madóra che póra! Storie e leggende della Valle Trompia curato da Giovanni Raza)

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